I capitoli inediti di New Moon

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annthequeen
view post Posted on 31/8/2009, 14:47





Riconoscerete questa scena della fine del secondo capitolo di New Moon. Solo poche righe si differenziano. Nella prima bozza, Carlisle da le medicine a Bella per il dolore delle ferite, e lei ha una reazione insolita.
Perché è stato tagliato? Primo, i miei editori pensavano che l’atmosfera fosse sbagliata (cercavo di scherzare su tutto, loro hanno provato a farmi rinsavire). Secondo, ritenevano che la reazione di Bella non fosse realistica. Il divertimento sta proprio qui, perché questa storia è basata su un'esperienza vera (non mia, questa volta).

-Stephenie Meyer-


Narcotici

Sprofondai nel mio cuscino, ansimando, mi girava la testa. Il mio braccio non faceva più male, ma non so se fosse dovuto agli antidolorifici o al bacio. Qualcosa di impercettibile stuzzicava i confini della mia memoria...
“Scusa” mi disse, e anche lui era senza fiato.” Questo andava oltre il limite”
Con mia stessa sorpresa, sorrisi divertita “Sei buffo” mormorai, sorridendo ancora.
Mi guardò cupo nell’oscurità. Sembrava così serio. Era isterico.
Mi coprii la bocca per soffocare la risata così che Charlie non avrebbe sentito.
“Bella, hai mai preso il Percocet prima?”
“Non credo” ridacchiai “Perché?”
Alzò gli occhi al cielo e non riuscii a smettere d ridere.
“Come sta il tuo braccio?”
“Non posso sentirlo. E’ ancora qui?”
Sospirò sconsolato appena sghignazzai. “Cerca di dormire, Bella”.
“No, voglio che mi baci ancora.”
“Stai sopravvalutando il mio autocontrollo.”
Ridacchiai. “Quale ti tenta di più, il mio sangue o il mio corpo?” La mia domanda mi fece ridere.
“E’ un pareggio,” fece suo malgrado un largo sorriso “Non ti avevo mai vista così alticcia. Sei davvero divertente.”
“Non sono alticcia,” cercai inutilmente di ricacciare in gola la risatina per provarglielo.
“Dormi,” suggerì
Mi resi conto che stavo facendo la figura della pazza, cosa tutt’altro che insolita, ma era lo stesso imbarazzante, così cercai di seguire il suo consiglio. Appoggiai di nuovo la mia testa sulla sua spalla e chiusi gli occhi. Ogni tanto mi sfuggiva un'altra risatina. Ma poco per volta divennero meno frequenti e le medicine mi cullarono verso l'incoscienza.


La mattina dopo mi sentivo uno schifo. Il mio braccio bruciava e la testa doleva. Edward mi disse che era dovuto alle medicine che avevo preso, e raccomandò il Tylenol piuttosto che il Percocet prima di baciarmi incurante sulla fronte e tuffarsi fuori dalla finestra.
Il fatto che il suo viso fosse calmo e lontano non aiutava il mio punto di vista. Ero davvero terrorizzata dalle conclusioni a cui sarebbe potuto arrivare durante la notte mentre mi aveva osservato dormire. L’ansia sembrò far crescere l’intensità delle pulsazioni nella mia testa.
Presi una dose doppia di Tylenol, gettando la piccola boccetta di Percocet nella spazzatura del bagno.


Questa è la parte più voluminosa che ho tagliato di New Moon; è molto del capitolo sei originale (“Dichiarazione”, allora), più sette brevi scene the continuavano la narrazione di “borsa di studio” attraverso il romanzo, fino alla fine. Pensavo fosse divertente, ma i miei editori non sono stati d’accorto. Non era necessario, così è stato sacrificato sull’altare dell’editoria.



Scena 1.Il giorno dopo che Bella va a vedere il film di zombie con Jessica.
In rare occasioni Phoenix mi mancava ancora, quando mi stuzzicava il pensiero. Ora, per esempio, mentre mi dirigevo alla Forks Federal Bank per depositare il mio stipendio. Cosa avrei dato per la convenienza di un bancomat, uno sportello automatico, o almeno l’anonimato di una sconosciuta dietro la cassa.
“Buongiorno, Bella” mi salutò la madre di Jessica.
“Salve, signora Stanley”
“E’ stato carino che sei uscita con Jessica ieri sera. Era da tanto tempo”
Fece schioccare la lingua verso di me, sorridendo per rendere il suono più amichevole. Qualcosa della mia espressione doveva essere sbagliata, perché il sorriso sparì in un attimo e si passò nervosamente la mano tra i capelli, dove vi rimase per un minuto; i suoi capelli erano ricci proprio come quelli di Jessica e laccati in un’acconciaturancon rigidi cerchietti.
Le sorrisi di rimando, rendendomi conto che era un secondo troppo tardi. Il mio tempo di reazione era pessimo.
“Sì,” dissi in quello che speravo fosse un tono socievole “sono stata così occupata, sa … Scuola … Lavoro …” Mi sforzai di pensare a qualcos’altro da aggiungere alla mia breve lista, ma non mi venne in mente nulla.
“Certo” mi sorrise più calorosa, probabilmente felice che la mia risposta suonasse piuttosto normale e ben corretta.
Quando compresi la reazione del suo sorriso, mi accorsi subito che non c’era bisogno di prendersi in giro. Chissà cosa le aveva raccontato Jessica sulla scorsa notte. Qualunque cosa fosse, non era del tutto infondata. Ero la figlia dell’eccentrica ex-moglie di Charlie – la pazzia doveva essere genetica. Con un’educazione associata ai capricci della città; passai oltre velocemente, ritraendomi. Recente vittima di una passeggiata da coma. Decisi che di motivi abbastanza buoni per la pazzia ce n’erano, senza nemmeno contare le voci che sentivo ultimamente, e mi chiesi se la Signora Stanley lo pensasse davvero.
Dovette leggere tali congetture nei miei occhi. Distolse rapidamente lo sguardo, verso la finestra dietro di me.
“Lavoro” ripetei, richiamando la sua attenzione mentre le porgevo l’assegno sopra lo sportello.” E’ per questo che sono qui, naturalmente.”
Sorrise di nuovo. Il suo rossetto si stava screpolando con l’andare del giorno ed era evidente che si era disegnata le labbra molto più piene di quanto fossero in realtà.
“Come vanno le cose dai Newton?” chiese allegramente.
“Bene, la stagione si sta animando” risposi automaticamente, nonostante lei guidasse verso il parcheggio Olympic Outfitter diverse volte al giorno – doveva aver visto le auto sconosciute. Probabilmente conosceva il deflusso e il flusso degli affari dei campeggiatori molto meglio di me.
Annuì assente col viso mentre batteva al computer di fronte a lei. I miei occhi vagarono attorno la cabina marrone scuro, con le linee di un arancione brillante che ornavano i bordi stile anni Settanta. Le pareti e i tappeti erano stati aggiornati in un più neutrale grigio, ma la cassa testimoniava l’originale decorazione dell’edificio.
“Hmm” il mormorio della signora Staley era di un tono più alto del normale. Mi rivolsi di nuovo verso di lei, solo metà interessata, chiedendomi se l’avesse spaventata un ragno sul banco.
Ma i suoi occhi erano ancora incollati al monitor del computer. Le sue dita erano immobili adesso, la sua espressione sorpresa e infastidita. Aspettai, ma non aggiunse altro.
“C’è qualcosa che non va?” I Newton stavano tentando di passare assegni falsi?
“No, no” borbottò veloce, guardandomi con uno strano luccichio negli occhi. Sembrava stesse trattenendo una sorta di eccitazione. Mi ricordava Jessica quando aveva qualche nuovo gossip che moriva dalla voglia di spifferare.
“Vuoi la stampa del tuo saldo?”chiese la signora Stanley ardentemente. Non era mia abitudine – il mio conto cresceva così lentamente e prevedibilmente che non mi era difficile fare il calcolo a mente. Ma il suo cambiamento di tono mi aveva incuriosita. Cosa c’era sul monitor del computer che l’aveva attratta?
“Sicuro” acconsentii.
Schiacciò un tasto, e la stampante sputò fuori velocemente uno scontrino.
“Ecco a te,” tirò la carta fuori con tanta rapidità che si strappò in due.
“Oops, mi dispiace” svolazzò intorno alla cassa, senza mai incrociare il mio sguardo curioso, finché non trovò un po’ di nastro adesivo. Unì il pezzo di carta e lo spinse verso di me.
“Ehm, grazie” mormorai. Con lo scontrino in mano, mi girai e mi diressi verso la porta di fronte, lanciando uno sguardo furtivo per vedere se potevo capire quale fosse il problema della signora Stanley.
Pensavo che la mia paga fosse di circa 1.535 dollari. Sbagliato, era di 1.536 piuttosto che 35. C’erano anche 20 biglietti da mille dollari in più.
Mi fermai, cercando di capire i numeri. Il saldo oggi era di 20 mila dollari più alto prima del deposito, che era stato aggiunto correttamente. Per un breve istante considerai l’idea di chiudere il mio conto immediatamente. Ma, sospirando, tornai indietro alla cassa dove la signora Stanley stava aspettando con occhi luccicanti e interessati.
“Ci deve essere qualche errore nel computer, signora Stanley” le dissi, riconsegnandole il foglio di carta. “Dovrebbero esserci solo 1.536 dollari”
Rise con fare da cospiratrice. “Pensavo fosse un po’ strano”
“Nei miei sogni, giusto?” Risi in risposta, impressionandomi della normalità del mio tono.
Digitò animatamente.
“Vedo qui il problema … tre settimane fa c’è stato un deposito di 20.000 dollari da…Hmmm..sembrerebbe un’altra banca. Immagino che qualcuno gli abbia dato i numeri sbagliati.”
“Quanti problemi avrei se facessi un prelievo?” stuzzicai.
Ridacchiò assente e continuò a digitare.
“Hmmm” disse ancora, la sua fronte corrugata in tre profonde rughe, “sembra sia un trasferimento elettronico. Non ne abbiamo molti, sai? Andrò a fargli dare un’occhiata dalla signora Gerandy…” la sua voce la seguì mentre si allontanava dal computer, il collo allungato per guardare attraverso la porta aperta dietro di lei.
“Charlotte, sei occupata?” chiese.
Non ci fu risposta. La signora Stanley prese il certificato e camminò veloce verso la porta alle sue spalle dove dovevano esserci gli uffici.
Fissai per un minuto il punto in cui era scomparsa, ma non riapparve. Mi voltai e fissai assente fuori dalla finestra, guardando la pioggia correre giù per il vetro. La pioggia correva in rivoli imprevedibili, a volte inclinandosi di sghembo nel vento. Non avevo cognizione del tempo che passava mentre aspettavo. Cercavo di lasciare fluttuare la mia mente vuota, senza pensare a nulla, ma non sembrava potessi ritornare a quello stato di semi-incoscienza.
Finalmente sentii di nuovo delle voci dietro di me. Mi girai per vedere la signora Stanley e la moglie del dottor Gerandy uscire in fila dalla stanza con lo stesso educato sorriso stampato in viso.
“Scusa per questo, Bella” disse la signora Gerandy. “ penso di poter risolvere tutto con una breve telefonata. Puoi aspettare se vuoi.” Indicò una fila di sedie di legno contro il muro. Sembrava appartenessero ad una sala da pranzo.
“Okay” accettai. Camminai verso le sedie e mi sedetti proprio in mezzo, desiderando improvvisamente di avere un libro. Non leggevo nulla da un po’, fuori da scuola. E anche allora, quando qualche ridicola storia d’amore faceva parte del programma, copiavo dagli appunti. Era un sollievo adesso lavorare sulla ‘Fattoria degli animali’. Ma c’erano altri libri sicuri. Thriller politici. Delitti misteriosi. Gli omicidi macabri non erano un problema; almeno finché non c’era uno strappalacrime e romantico intreccio secondario con cui aver a che fare.
Passò abbastanza tempo da farmi irritare. Ero stanca di guardare nella noiosa stanza grigia, senza un quadro ad abbellire le pareti vuote. Non riuscivo a non guadare la signora Stanley mentre si raccapezzava tra una pila di carte, fermandosi ogni tanto per inserire qualcosa nel computer – una volta mi guardò e appena catturò il mio sguardo, sembrò a disagio e fece cadere uno schedario. Potevo sentire la voce della signora Gerandy, un mormorio debole proveniente dalla stanza dietro, ma non era abbastanza chiara da dirmi null’altro se non che aveva mentito sulla durata necessaria della chiamata. C’era un limite per cui ognuno era in grado di tenere la propria mente vuota, e se non fosse finita presto, non sarei stata in grado di superarlo. Avrei dovuto pensare. Silenziosamente allarmata, cercai di trovare un oggetto sicuro per i miei pensieri.
Fui salvata dalla riapparizione della signora Gerandy. Le sorrisi piena di riconoscenza quando cacciò la testa fuori dalla porta, la sua chioma folta e cotonata catturò i miei occhi all’istante.
“Bella ti dispiace venire qui?” mi chiese, e mi accorsi che aveva il telefono all’orecchio.
“Certo” mormorai mentre scompariva.
La signora Stanley dovette aprire la mezza porta posizionata alla fine dello sportello per lasciarmi passare. Il suo sorriso era assente, non incrociò i miei occhi. Ero assolutamente sicura che stesse pianificando di origliare.
La mia mente corse attraverso le possibili probabilità mentre mi affrettavo verso l’ufficio.
Qualcuno stava trasferendo denaro sporco sul mio conto. O forse Charlie stava prendendo delle mazzette e io stavo facendo saltare la sua copertura. Chi poteva avere quel tipo di denaro per corrompere Charlie?, pensai. Forse Charlie era nella mafia, prendeva tangenti, e usava il mio conto per coprire denaro sporco. No, non potevo immaginare Charlie nella mafia. Forse era Phil. Quanto conoscevo in realtà Phil?
La signora Gerandy era ancora al telefono e mi indicò col mento verso la sedia pieghevole di metallo di fronte alla sua scrivania. Stava scrivendo velocemente sul retro di una busta. Mi sedetti, chiedendomi se Phil avesse un passato oscuro e se stesse per andare in galera.
“Grazie, si. Bene, penso sia tutto. Si, si. Grazie mille per il vostro aiuto” la signora Gerandy sprecò un sorriso sul ricevitore prima di agganciare. Non sembrava arrabbiata o cupa. Più eccitata e confusa. Il che mi ricordò la signora Stanley. Mi divertii per un secondo all’idea di saltare attraverso la porta e spaventarla.
Ma la signora Gerandy parlò.
“Bene, credo di avere qualche buona notizia per te … nonostante io non riesco a capire come tu non ne sia stata informata” mi fissò scettica, come se si aspettasse che mi picchiassi la mano sulla fronte e dicessi ,oh QUEI ventimila! Mi erano completamente sfuggiti di mente!
“Buone notizie?” suggerii. Le parole implicavano che quell’errore fosse troppo complicato per lei da risolvere, ed era convinta che fossi più ricca di quanto pensassimo pochi minuti fa.
“Bene, se tu davvero non lo sai…allora congratulazioni! Sei stata premiata con una borsa di studio dalla…” guardò in basso alle sue note scarabocchiate “Pacific Northwest Trust”
“Una borsa di studio?” ripetei incredula
“Sì, non è eccitante? Mio dio, sei in grado di andare in qualsiasi college desideri!”
Fu in quel preciso momento, mentre lei sfavillava felice della mia buona sorte, che io capii esattamente da dove proveniva quel denaro. Nonostante l’improvviso attacco di rabbia, sospetto, offesa e dolore, cercai di parlare con calma.
“Una borsa di studio che deposita ventimila dollari in contanti sul mio conto” le feci notare ” invece di pagare la scuola. Senza assicurarsi in alcun modo che io usi davvero il denaro per lo studio.”
La mia reazione la stordì. Sembrò offesa dalle mie parole.
“Sarebbe davvero sciocco non usare quel denaro per lo scopo previsto, Bella cara. È un’occasione che capita solo una volta nella vita”
“Ovviamente” risposi acida. “E questo Pacific Northwest Trust ha specificato esattamente perché hanno scelto me?”
Guardò nuovamente le sue note, una leggero cipiglio di disapprovazione a causa del mio tono.
“E’ molto prestigioso - non concedono una borsa di studio come questa ogni anno”
“Ci avrei scommesso”
Mi lanciò uno sguardo e lo distolse via rapidamente. “La banca di Seattle che gestisce il fondo mi ha messo in contatto con l’uomo che si occupa dell’affidamento delle borse di studio. Mi ha detto che questa borsa di studio è data basandosi sul merito, il sesso e la residenza. È proposto per studentesse in piccole città che non hanno le opportunità disponibili nelle grandi città”
Forse qualcuno pensava fosse divertente.
“Merito?” chiesi con disapprovazione “Io ho una media di 3 punti nella settima classe. Posso fare il nome di tre ragazze a Forks con medie migliori delle mie, e una di queste è Jessica. Inoltre, non ho mai fatto richiesta per questa borsa di studio.”
Adesso era davvero agitata, raccolse la sua penna e la rimise giù ancora, tormentando la punta tra il pollice e l’indice. Controllò di nuovo i suoi appunti.
“Ha detto che …” soffermò i suoi occhi sulla busta, indecisa su cosa fare con il mio atteggiamento. “Non accettano domande. Vanno attraverso le domande per le altre borse di studio e prendono gli studenti che loro sentono essere stati scartati ingiustamente. Hanno avuto il tuo nome dalla domanda che hai inviato per l’aiuto finanziario per merito per l’Università di Washington.”
Sentii gli angoli della mia bocca piegarsi in basso. Non sapevo che quella domanda fosse stata rifiutata. È stato qualcosa che avevo compilato tanto tempo fa, prima…
E io non avevo seguito altre possibilità, poiché avevo superato le date di scadenza. Sembrava non riuscissi a concentrarmi sul futuro. Ma l’Università di Washington era l’unico posto che mi avrebbe tenuto vicino a Forks e a Charlie.
“Come ricevono le domande rifiutate?” chiesi con un tono di voce calmo.
“Non sono sicura, cara” la signora Gerandy era scontenta. Lei si spettava eccitazione e stava ricevendo ostilità. Avrei voluto trovare il modo per spiegarle che la negatività non era dovuta a lei. “Ma l’amministratore mi ha lasciato il suo numero se avessi avuto qualche domanda, puoi chiamarlo. Sono sicura che potrà assicurarti che quel denaro è veramente destinato a te”
Non avevo dubbi su questo. “Mi piacerebbe avere quel numero.”
Scrisse veloce su un pezzetto di carta strappato. Mi stavo appuntando mentalmente di donare in via anonima un blocchetto di post-it alla banca.
Il numero era un’interurbana. “Non è che ha lasciato un indirizzo e-mail?” chiesi scettica. Non volevo far schizzare alle stelle la bolletta di Charlie.
“Naturalmente, l’ha fatto” mi sorrise, felice di avere qualcosa che mi potesse servire. Si sporse sulla scrivania per scrivere un’altra riga sul mio pezzetto di carta.
“Grazie, lo contatterò appena tornerò a casa” la mia bocca era una riga dritta.
“Tesoro” la signora Gerandy disse esitante “dovresti essere felice per questo. È una grande opportunità.”
“Non intendo prendere ventimila dollari che non mi sono guadagnata” replicai, cercando di evitare un tono offeso.
Si morse il labbro e guardò di nuovo in basso. Anche lei pensava che fossi matta. Bene, stavo per farglielo dire ad alta voce.
“Cosa?” chiesi.
“Bella…” si fermò e io aspettai con i denti digrignati “è sostanzialmente più di ventimila dollari.”
“Scusi?” restai senza respiro. “Di più?”
“Ventimila è solo il pagamento iniziale, in realtà. D’ora in poi riceverai cinque mila dollari ogni mese fino alla fine dei tuoi studi al college. Se ti iscrivi ad un corso di laurea, la borsa di studio continuerà a pagarti per quello.” Si emozionò di nuovo mentre me lo diceva.
All’inizio non riuscii a parlare, ero troppo furibonda. Cinque mila dollari al mese per un lasso di tempo illimitato. Volevo distruggere qualcosa.
“Come?” cercai di venirne a capo.
“Non capisco quello che intendi”
“Come posso ricevere cinquemila dollari al mese?”
“Saranno addebitati sul tuo conto qui” rispose, perplessa.
Ci fu un breve secondo di silenzio.
“Intendo chiudere quel conto ora” dissi con voce piatta.
Impiegai quindici minuti per convincerla che ero seria. Aveva una scorta infinita di ragioni per cui la faceva sembrare una cattiva idea. Discutemmo calorosamente finché non mi resi conto che era preoccupata del modo in cui mi avrebbe potuto dato il denaro. Era possibile che li portassi a mano?
“Guardi, signora Gerandy” la rassicurai “voglio solo prelevare i miei mille e cinque. Apprezzerei veramente se lei riaddebitasse il resto del denaro al mittente. Aggiusterò le cose con questo” – controllai il foglietto – “signor Isaac Randall. È davvero uno sbaglio”
Questo sembrò rilassarla.
Circa venti minuti dopo, con un rotolo in tasca di millecinquecento dollari, uno da venti, uno da dieci, uno da cinque, uno da uno, e cinquanta centesimi, scappai dalla banca con sollievo. La signora Stanley e la signora Gerandy restarono una affianco all’altra allo sportello, fissandomi ad occhi spalancati.





Scena 2. quella stessa notte, dopo aver comprato le motociclette e aver visitato Jacob per la prima volta …
Sbattei la porta dietro di me e tirai fuori dalla tasca il fondo per il college. Sembrava graziosamente carino arrotolato nel palmo della mia mano. Lo infilai nella punta di un calzino bucato e poi lo spinsi in fondo al cassetto della mia biancheria. Probabilmente non era il nascondiglio più originale, ma mi sarei preoccupata più tardi di farmi venir in mente qualcosa di più creativo.
Nell’altra tasca avevo il pezzo di carta strappato con il numero di telefono e l’indirizzo e-mail di Isaac Randall. Lo tirai fuori e lo deposi sulla tastiera del computer, poi pigiai il pulsante d’avvio, picchiettando i piedi mentre lo schermo s’illuminava lentamente.
Quando fui connessa, aprii la mia casella di posta. Temporeggiai, prendendomi il tempo per cancellare la montagna di spam che si era ammassata nei pochi giorni dall’ultima volta che avevo scritto a Renee. Finalmente finì questo lavoro pesante, e aprii una nuova finestra.
L’indirizzo e-mail era “irandall”, quindi ipotizzai arrivasse direttamente all’uomo che volevo.

Caro Sig. Randall, scrissi.
Spero si ricordi la conversazione che ha avuto oggi pomeriggio con la signora Gerandy della Forks Federal Bank. Mi chiamo Isabella Swan, e apparentemente siete convinti che io abbia meritato una borsa di studio veramente generosa dalla Pacific Northwest Trust Company.
Sono spiacente, ma non posso accettare questa borsa di studio. Ho chiesto che il denaro che ho già ricevuto sia rispedito al conto da cui proviene, e di chiudere il mio conto alla Forks Federal Bank. La prego di assegnare la borsa di studio ad un candidato differente.
La ringrazio, I. Swan

Mi ci vollero diversi tentativi per farla suonare correttamente – formale e senza doppi fini.
La rilessi due volte prima di inviarla. Non ero sicura delle istruzioni che aveva ricevuto il signor Randall sulla falsa borsa di studio, ma non potei vedere alcuna scappatoia nella mia risposta.



Scena 3. Qualche settimana dopo, appena prima dell’”appuntamento” di Bella e Jacob con le moto…

Quando tornai, presi la posta sulla via di casa. Feci passare rapidamente i conti e le pubblicità, finché alla fine della pila non trovai la lettera.
Era una busta regolare commerciale, indirizzata a me, il mio nome scritto a mano, il che era insolito. Guardai all’indirizzo del mittente con interesse.
Interesse che rapidamente si trasformò in nausea nervosa. La lettera proveniva dalla Pacific Northwest Trust, Ufficio dell’Allocazione delle Borse di Studio. Non c’era la via dell’indirizzo sotto il nome.
Probabilmente era solo un riconoscimento formale del mio rifiuto, mi dissi. Non c’erano ragioni per essere nervosi. Nessuna ragione affatto, eccetto per un piccolo dettaglio: pensare a una qualsiasi parte di questa intera faccenda mi avrebbe trascinato nella spirale della terra degli zombi. Solo questo.
Rovesciai il resto della posta per Charlie sul tavolo, riunendo i miei libri dal soggiorno, e scappai su per le scale. Una volta nella mia stanza, chiusi a chiave la porta e strappai l’apertura della busta. Dovevo ricordarmi di rimanere arrabbiata. La rabbia era la chiave.

Cara Sig.na Swan,
mi permetta di congratularmi formalmente con lei per aver ottenuto la prestigiosa borsa di studio J. Nicholls della Pacific Northwest Trust. Questa borsa di studio è assegnata solo raramente, e lei dovrebbe sentirsi orgogliosa di sapere che il Comitato per l’Allocazione ha scelto all’unanimità il suo nome.
Ci sono state delle piccole difficoltà nel consegnarle il denaro della sua borsa di studio, ma la prego non si preoccupi. Mi sono preso la responsabilità di vedere che lei abbia i minori inconvenienti possibili. Troverà allegato un assegno circolare di venticinquemila dollari; il premio iniziale più la rata del suo primo mese.
Mi congratulo nuovamente per i suoi risultati. Prego accetti i migliori auguri dell’intera Pacific Northwest Corporation per la sua futura carriera scolastica.
Sinceramente,
I. Randall

La rabbia non era un problema.
Guardai nella busta e, ovviamente, c’era dentro l’assegno.
“Chi sono queste persone?” ringhiai tra i denti, stringendo la lettera in una palla, con una mano sola.
Mi precipitai furiosamente verso il cestino, per recuperare il numero di telefono del signor I. Randall. Non mi importava se era un’interurbana, in questo caso sarebbe stata una conversazione davvero breve.
“Oh, accidenti” sibilai. Il cestino era vuoto. Charlie aveva portato fuori la mia spazzatura.
Lanciai la busta con l’assegno sul letto e spianai di nuovo la lettera. Era carta della compagnia, con Pacific Northwest Scholarship Allocations Department scritto in verde scuro in cima, ma non c’erano informazioni, nessun indirizzo, nessun numero di telefono.
“Dannazione.”
Mi lasciai cadere sull’estremità del mio letto e cercai di pensare con chiarezza. Ovviamente, avevano intenzione di ignorarmi. Non avrei potuto esprimere il mio parere più chiaramente, dunque questa non era stata una mancanza di comunicazione. Probabilmente non avrebbe fatto alcuna differenza se l’avessi chiamato.
Quindi c’era solo una cosa da fare.
Riappallottolai la lettera, stracciai anche la busta con l’assegno, e mi precipitai al piano di sotto.
Charlie era in sala, con la TV accesa ad alto volume.
Andai al lavandino in cucina, e ci gettai le palle di carta. Dopo rovistai nel cassetto di finché non trovai una scatola di fiammiferi. Ne accesi uno, e lo misi con molta cura in una fessura della carta. Ne accesi un altro, e feci lo stesso. Ne stavo per prendere un terzo, ma la carta stava prendendo fuoco allegramente, così non ce n’era realmente bisogno.
“Bella?” Charlie chiamò sopra il suono della TV.
Aprii il rubinetto velocemente, sentendo un senso di soddisfazione non appena la forza dell’acqua distrusse le fiamme in cenere.
“Sì, papà?” lanciai i fiammiferi nel cassetto, e lo chiusi silenziosamente.
“Senti questo odore di fumo?”
“No, papà”
“Hmph.”
Risciacquai il lavandino, assicurandomi che tutta la cenere finisse nello scolo, poi mi affrettai a sistemare tutto.
Tornai nella mia stanza, sentendomi leggermente sollevata. Potevano spedirmi tutti gli assegni che volevano, pensai truce. Potevo sempre comprare più fiammiferi quando uscivo.





Scena 4. Durante il periodo di tempo in cui Jacob la trascurava …
Sul gradino della porta c’era un pacchetto FedEx. Lo raccolsi curiosa, aspettandomi un indirizzo di ritorno dalla Florida, invece era stato spedito da Seattle. Non erano indicati mittenti sull’esterno del pacco.
Era indirizzato a me, non a Charlie, così lo portai sul tavolo e strappai la linguetta lungo il cartone per aprirlo.
Non appena vidi il logo verde scuro della Pacific Northwest Trust, mi sentii come se l’influenza gastrica mi fosse tornata. Caddi sulla sedia più vicina senza guardare la lettera, la rabbia lentamente cresceva.
Non potevo costringermi a leggerla, anche se non era lunga. La tirai fuori, la misi a faccia in giù sul tavolo, e guardai riluttante verso il pacco, per vedere cosa c’era dentro. Era una busta manila sporgente. Avevo paura ad aprirla, ma ero abbastanza arrabbiata da tirarla fuori comunque.
La mia bocca era una linea sottile mentre strappavo la carta senza preoccuparmi di tirare la linguetta. Adesso avevo troppo da affrontare. Non avevo bisogno di ricordi o di irritazioni.
Fui shockata e ancora sorpresa. Cosa avrebbe potuto essere se non questo: tre piccoli pacchetti di banconote, legati insieme da una spessa banda di gomma. Non dovevo guardare il taglio. Sapevo esattamente quanto stavano cercando di darmi.
Dovevano essere trentamila dollari.
Sollevai la busta con delicatezza mentre mi alzavo, e mi voltai per buttarla nel lavandino. I fiammiferi erano proprio in cima al cassetto delle cianfrusaglie, proprio dove li avevo lasciati l’ultima volta. Ne presi uno e lo accesi.
Bruciava sempre più vicino alle mie dita mentre fissavo l’odiosa busta. Non riuscivo a farlo cadere. Spensi il fiammifero prima che mi scottassi, il viso contorto in una smorfia disgustata.
Afferrai la lettera dal tavolo, appallottolandola e gettandola nell’altra parte del lavandino. Accesi un altro fiammifero e lo ficcai nella carta, guardando con truce soddisfazione mentre si infiammava. Si riscaldava. Presi un altro fiammifero. Ancora, lo conficcai, infiammato, nella busta. Ancora, bruciava vicino le mie dita prima che lo gettassi nelle ceneri della lettera. Non avrei potuto semplicemente bruciare trenta mila dollari.
Cosa avrei dovuto farne? Non avevo indirizzi a cui rispedirli – ero piuttosto sicura che la compagnia non esistesse veramente.
E poi mi accorsi che avevo un indirizzo.
Ficcai i soldi nella scatola della FedEx, strappando via l’etichetta così che se chiunque altro l’avesse trovata, non gli sarebbe stato possibile collegarla a me, e mi diressi verso il mio pick-up, mugugnando incoerentemente tutta la strada. Mi promisi che questa settimana avrei fatto qualcosa di davvero sconsiderato con la moto. Se avessi dovuto avrei preso il volo.
Odiai ogni centimetro della strada mentre vagavo attraverso gli alberi lugubri, digrignando i denti finché non iniziò a farmi male la mandibola. Gli incubi sarebbero stati crudeli quella notte, questo era quello che chiedevano. Gli alberi si aprirono in felci, e vi guidai attraverso furiosa, lasciando una doppia linea di rami frantumati, fangosi dietro di me. Mi fermai davanti ai gradini, entrando nella radura.
La casa sembrava sempre la stessa, dolorosamente vuota, morta. Sapevo che stavo proiettando i miei sentimenti nella sua immagine, ma questo non cambiava il modo in cui la vedevo.
Facendo attenzione di non guardare attraverso le finestre, camminai verso la porta. Desiderai disperatamente per solo un minuto di essere di nuovo uno zombie, ma l’intorpidimento era da tempo passato.
Poggiai accuratamente il pacco sul gradino della veranda della casa abbandonata, e mi voltai per andarmene.
Mi fermai sull’ultimo gradino. Non potevo semplicemente lasciare un mucchio di soldi davanti la porta. Era quasi come bruciarli.
Con un sospiro, abbassai gli occhi, tornai indietro e afferrai l’offensivo pacco. Forse avrei potuto semplicemente donarla in via anonima ad una buona causa. Carità per persone con una malattia del sangue, o qualcosa del genere.
Ma scossi la testa mentre salivo sul pick-up. Era il suo denaro, e, dannazione, doveva tenerselo. Se fosse stato rubato davanti la sua veranda, la colpa era sua, non mia.
Il mio finestrino era aperto, e invece di scendere, lanciai il pacco più forte che potevo verso la porta. Non avrei potuto avere proposito migliore. La scatola fracassò rumorosamente la finestra, lasciando un buco così grande che sembrava avessi lanciato una lavatrice.
“Ah, accidenti!” gridai forte, coprendomi il viso con le mani.
Sapevo che qualunque cosa fatto, avrei semplicemente fatto quella peggiore.
Fortunatamente la rabbia ritornò. Era colpa sua, mi ricordai. Gli stavo solo tornando una sua proprietà. Era un suo problema affrontare quel lavoraccio. Inoltre, il rumore dei vetri in frantumi era quasi piacevol, mi fece sentire perversamente meglio.
Non ne ero davvero convinta, ma portai il pick-up fuori dalla radura e guidai via incurante. Questo era il modo più preciso con cui potevo far riavere indietro il denaro a cui apparteneva. E ora avevo un recapito conveniente per le rate dei prossimi mesi. Era il massimo che potessi fare.
Ci ripensai un centinaio di volte dopo essere tornata a casa. Cercai sulla guida telefonica un vetraio, ma non c’erano stranieri a cui chiedere aiuto. Come potevo spiegare l’indirizzo? Charlie mi avrebbe arrestata per atti vandalici?





Scena 5. La prima notte che Alice tornò dopo aver visto Bella “suicidarsi”…
“Jasper non è voluto venire con te?”
“Non approva le mie interferenze”
Sbuffai. “Non sei la sola”
S’irrigidì, e poi si rilassò. “Questo ha qualcosa a che fare col buco nella finestra della mia casa e il pacco piena di biglietti da mille dollari sul pavimento del soggiorno?”
“Sì” dissi arrabbiata “mi dispiace per la finestra. È stato un incidente.”
“Tipico tuo. Cosa ha fatto?”
“Qualcosa chiamato Pacific Northwest Trust mi ha premiato con una borsa davvero strana e persistente. Non è stato un gran camuffamento. Cioè, non riesco a capire se lui voglia che sappia che so che è lui, ma spero non mi ritenga così stupida.”
“Quel grande imbroglione” mormorò Alice.
“Esatto”
“E ha detto a me di non interferire!” scosse la testa irritata.





Scena 6. Con Edward la notte dopo l’Italia, nella stanza di Bella…
“C’è un motivo per cui il pericolo non può resisterti più di quanto possa farlo io?”
“Il pericolo non ci prova,” mormorai.
“Ovviamente, sembra che se tu lo cercassi attivamente. Cosa stavi pensando, Bella? Ho visto nella mente di Charlie il numero delle volte in cui sei stata al pronto soccorso ultimamente. Sai che sono arrabbiato con te?”
La sua voce leggera suonava più addolorata che furiosa.
“Perché? Non sono affari tuoi” risposi, imbarazzata.
“In realtà, ricordo chiaramente che mi hai promesso di non far nulla di pericoloso.”
La mia confutazione fu rapida. “E tu non avevi promesso qualcosa sul non interferire?”
“Nel momento in cui tu hai superato la linea,” puntualizzò accuratamente “io stavo mantenendo la mia parte del patto.”
“Oh è così? Tre parole, Edward: Pacific, Northwest, Trust”
Sollevò il viso per guardarmi; la sua espressione era tutta confusione e innocenza – troppa innocenza. Era una palese rivelazione. “Dovrebbe dirmi qualcosa?”
“Questo è semplicemente un insulto,” mi lamentai “Quanto pensi sia stupida?”
“Non ho idea di cosa tu stia parlando” disse, gli occhi spalancati.
“Sarà,” brontolai.





Scena 7. La conclusione di questo filone: quella stessa notte/mattina, quando arrivarono a casa dei Cullen per il voto …
All’improvviso, la veranda si illuminò e io potei vedere Esme in piedi sulla porta. I suoi capelli ondulati, color caramello erano tirati indietro, e aveva qualche tipo di bastone in mano.
“C’è qualcuno in casa?” chiesi speranzosa salendo i gradini.
“Sì ci sono” mentre parlava la finestra venne riempita bruscamente di luce. Guardai più vicino per scoprire chi ci aveva notati, ma lo strato di spessi frammenti grigi sul davanzale della finestra catturò i miei occhi. Guardai la liscia perfezione del vetro e mi resi conto cosa stava facendo Esme sulla veranda con la scopa.
“Oh, scusa, Esme! Sono davvero dispiaciuta per la finestra! Stavo cercando di …”
“Non preoccuparti” m’interruppe con una risata. “Alice mi ha raccontato la storia, e devo ammetter che non ti avrei biasimata se lo avessi fatto apposta.” Guardò suo figlio, che stava fissando me.
Alzai un sopracciglio. Lui distolse lo sguardo e mormorò qualcosa di incomprensibile sui cavalli donati.

La notizia di Rosalie

Il cellulare vibrò di nuovo nella mia tasca. Era la venticinquesima volta in ventiquattro ore. Pensai di rispondere, almeno per vedere chi stesse cercando di contattarmi. Forse era importante. Forse Carlisle aveva bisogno di me.
Ci pensai, ma non mi mossi.
Non sapevo di preciso dove fossi. In qualche buio attico spazioso, pieno di ratti e ragni. I ragni mi ignoravano, e i ratti si tenevano lontani. L'aria era satura del pesante odore di olio da cucina, di carne rancida, di sudore umano, e del vicino solido strato di inquinamento che era addirittura visibile nell'aria umida, come una pellicola nera che copriva ogni cosa.
Di sotto, quattro storie di un ghetto di case popolari si attaccava alla vita. Non mi disturbai a separare i pensieri dalle voci, facevano un forte baccano in spagnolo che neanche ascoltavo. Lasciai che i suoni mi rimbalzassero contro. Senza senso. Tutto era insignificante. La mia intera esistenza era senza senso.
L'intero mondo era senza senso.
Spinsi la fronte tra le ginocchia, e pensai a quanto ancora sarei stato capace di sopportarlo. Forse era inutile. Forse, se il mio tentativo fosse comunque stato destinato a fallire, avrei dovuto smetterla di torturarmi e tornare semplicemente indietro...
L'idea era così potente, così salutare – come se le parole contenessero un forte anestetico, che lavava via la montagna di dolore sotto il quale ero sepolto – che mi fece respirare affannosamente, mi stordì.
Sarei potuto partire adesso, sarei potuto tornare indietro.
Il viso di Bella, sempre lì quando chiudevo gli occhi, mi sorrise.
Era un sorriso di bentornato, di indulgenza, ma non ebbe l'effetto che probabilmente il mio inconscio voleva avere.
Ovvio che non potevo tornare. Cosa era il mio dolore, dopotutto, in confronto alla sua felicità? Avrebbe dovuto essere capace di sorridere, libera dalla paura e dal pericolo. Libera dal desiderare un futuro senza anima. Meritava meglio di questo. Meritava meglio di me. Quando avrebbe lasciato questo mondo, sarebbe andata in un posto a me per sempre proibito, non importa come ci sarei arrivato.
L'idea della separazione finale era molto più intensa del dolore che già avevo. Scosse il mio corpo. Quando Bella fosse andata nel posto al quale apparteneva e che a me era precluso, non avrei indugiato qui dietro. Doveva esserci l'oblio. Doveva esserci il sollievo.
Era questa la mia speranza, ma non c'erano garanzie. Dormire, sognare forse: ma qui é l'ostacolo. Citai per me stesso. Avrei sentito ancora la tortura della sua perdita, anche quando fossi stato cenere?
Rabbrividii di nuovo.
E, dannazione, avevo promesso. Avevo promesso che non avrei ancora ossessionato la sua vita, portando con me i miei demoni neri. Non sarei ritornato sulle mie parole. Non riuscivo a fare niente di giusto per lei? Niente di niente?
L'idea di tornare nella piccola nuvolosa città che, su questo pianeta, sarebbe per sempre stata la mia vera casa, strisciò di nuovo tra i miei pensieri.
Giusto per controllare. Soltanto per vedere se era sana e salva, e felice. Senza interferire. Non avrebbe mai saputo che fossi lì...
No. Dannazione, no.
Il cellulare vibrò di nuovo.
“Dannazione, dannazione, dannazione,” ringhiai.
Avrei potuto usare la distrazione, supposi. Aprii lo sportellino del cellulare e registrai il numero con avvertendo il primo shock dopo sei mesi.
Perché Rosalie mi stava chiamando? Era l'unica persona che probabilmente stava godendo della mia assenza.
Doveva esser successo qualcosa di veramente grave se aveva il bisogno di parlare con me. Preoccupato all'improvviso per la mia famiglia, risposi.
“Sì?” risposi in tensione.
“Oh, wow. Edward ha risposto al cellulare. Mi sento così onorata.”
Appena sentii la sua voce, capii che la mia famiglia stava bene. Doveva soltanto essere annoiata. Mi fu difficile intuirne i motivi senza i suoi pensieri come guida. Il comportamento di Rosalie non aveva mai avuto molto senso per me. I suoi impulsi erano di solito fondati sui più complicati tipi di logica.
Chiusi il cellulare di scatto.
“Lasciami solo,” sussurrai al nulla.
Ovviamente il telefono ricominciò a vibrare.
Avrebbe continuato a chiamare finché non avesse passato il messaggio che aveva preparato per irritarmi? Probabile. Avrebbe impiegato mesi per stancarsi di questo gioco. Mi trastullai con l'idea di lasciare che mi richiamasse per i prossimi sei mesi... e poi sospirai e risposi di nuovo al cellulare.
“Continua.”
Rosalie si affrettò a spiegare. “Pensavo che avresti voluto sapere che Alice è a Forks.”
Aprii gli occhi e fissai la trave di legno marcio a circa sette cm dal mio viso.
“Cosa?” La mia voce era piatta, priva di emozioni.
“Conosci Alice, pensa di sapere tutto. Come te.” Rosalie ridacchiò senza umorismo. La sua voce aveva una punta di nervosismo, come se improvvisamente non fosse sicura di quello che stava facendo.
Ma la mia rabbia rendeva difficile preoccuparsi di quale fosse il problema di Rosalie.
Alice mi aveva giurato che avrebbe seguito la mia decisione riguardo Bella, sebbene non fosse d'accordo. Aveva promesso che avrebbe lasciato Bella sola... fino a quando lo avrei fatto io. Chiaramente, aveva pensato che infine sarei stato piegato dal dolore. Forse aveva ragione a tal proposito.
Ma non era successo. Ancora. Quindi cosa stava facendo a Forks? Volevo torcere quel suo collo scarno. Non che Jasper avrebbe lasciato avvicinarmi a lei, una volta colto uno sbuffo della furia che stava soffiando fuori da me...
“Sei ancora qui, Edward?”
Non risposi. Pizzicai la base del mio naso tra il pollice e l'indice, pensando alla possibilità che un vampiro avesse l'emicrania.
D'altra parte, se Alice era già tornata...
No. No. No. No.
Avevo fatto una promessa. Bella meritava una vita. Avevo fatto una promessa. Bella meritava una vita.
Senza dubbio avrei dovuto strisciare, se fossi tornato. Non mi dispiaceva. Avrei potuto passare felicemente il prossimo decennio in ginocchio pur di stare con lei.
No, no, no.
“Edward? Non ti importa sapere perché Alice è lì?”
“Non esattamente.”
La voce di Rosalie tornò su un tono leggermente compiaciuto, soddisfatta, senza dubbio, ad aver forzato una mia risposta. “Beh, certo, non ha esattamente infranto le regole. Voglio dire, ci avevi solo ordinato di stare lontano da Bella, no? Il resto di Forks non ha importanza.”
Chiusi e aprii gli occhi lentamente. Bella se n’era andata? I miei pensieri vorticarono attorno l’idea. Non si era ancora diplomata, quindi doveva per forza essere tornata dalla madre. Bene. Avrebbe potuto vivere alla luce del sole. Era una buona cosa che fosse riuscita a lasciarsi le ombre alle spalle.
Cercai di ingoiare il groppo in gola, ma non ci riuscii.
Rosalie fece una risata nervosa. “Dunque non c’è bisogno che ti arrabbi con Alice.”
“Allora perché mi hai chiamato, Rosalie, se non per mettere nei casini Alice? Perché mi stai disturbando?”
“Aspetta!” disse, avvertendo giustamente che ero sul punto di riattaccare di nuovo. “Non è per questo che ho chiamato.”
“Allora perché? Dimmelo veloce, e poi lasciami solo.”
“Beh...”
“Sputa il rospo, Rosalie. Hai dieci secondi.”
“Penso che dovresti tornare a casa,” disse in fretta Rosalie, “sono stanza di vedere Esme affliggersi e Carlisle mai sorridere. Dovresti vergognarti di ciò che stai facendo loro. Emmett sente la tua mancanza tutto il tempo e mi fai innervosire. Hai una famiglia. Cresci e smettila di pensare solo a te stesso.”
“Consiglio interessante, Rosalie. Lascia che ti racconti una storia su una pentola e un bollitore…”
“Io sto pensando a loro, al contrario di te. Non t’importa di quanto hai ferito Esme, almeno? Lei ti ama più di chiunque altro, e lo sai. Torna a casa.”
Non risposi.
“Credevo che una volta che l’intera faccenda di Forks fosse finita, ci avresti messo una pietra sopra.”
“Non è mai stato Forks il problema, Rosalie,” dissi, cercando di mantenere la calma. Quello che aveva detto su Esme e Carlisle era un tasto dolente. “Solo perché Bella,” mi riuscì difficile pronunciare il suo nome ad alta voce, “si è trasferita in Florida, non significa che sono capace di… Ascolta, Rosalie. Mi spiace davvero, credimi, ma non renderei nessun altro felice se fossi lì.”
“Uhm..”
Eccola di nuovo, quella nervosa esitazione.
“Cosa stai cercando di dirmi, Rosalie? Esme sta bene? Carlisle…”
“Stanno bene... è solo.. beh, io non ho detto che Bella si è trasferita.”
Non risposi. Ripercorsi mentalmente la conversazione. Sì, Rosalie aveva detto che Bella se n’era andata. Aveva detto: avevi solo ordinato di stare lontano da Bella, no? Il resto di Forks non ha importanza. E poi: credevo che una volta che l’intera faccenda di Forks fosse finita, ci avresti messo una pietra sopra.. Dunque Bella non era a Forks. Cosa intendeva dire, che Bella non si era trasferita?
Allora Rosalie si affrettò ad aggiungere, più arrabbiata questa volta.
“ Non volevano che te lo dicessi, ma credo che sia stupido. Più in fretta chiudi questa storia, al più presto le cose torneranno alla normalità. Perché lasciarti stare depresso in un angolo buio del mondo quando non c’è motivo per farlo? Adesso puoi tornare a casa. Possiamo di nuovo essere una famiglia. E’ finita.”
La mia mente sembrava non funzionare. Non riuscivo a dare un senso alle sue parole. Come se mi stesse raccontando qualcosa di così ovvio di cui però non avevo idea. Il mio cervello collegava le informazioni, facendo strani modelli. Senza senso.
“Edward?”
“Non capisco cosa stai cercando di dirmi, Rosalie.”
Una lunga pausa, della durata di un battito del cuore umano.
“E’ morta, Edward.”
Una pausa più lunga.
“M-mi dispiace.. Credo che avessi il diritto di sapere, comunque. Bella.. si è buttata giù da una scogliera un paio di giorni fa. Alice l’ha visto, ma era troppo tardi per poter fare qualcosa. Penso che avrebbe rotto la promessa pur di salvarla, se ce ne fosse stato il tempo. E’ tornata per fare il possibile per Charlie. Sai che si è sempre preoccupata di lui..”
Il telefono restò muto. Mi ci volle qualche secondo per capire che l’avevo spento.
Rimasi nell’oscurità polverosa per un lungo agghiacciante secondo. Come se il tempo si fosse interrotto. Come se l’universo si fosse fermato.
Lentamente, muovendomi come un anziano, ripresi il cellulare e composi il numero che mi ero ripromesso non comporre più.
Se avesse risposto lei, avrei riattaccato. Se avesse risposto Charlie, avrei ottenuto con l’inganno le informazioni di cui avevo bisogno. Avrei testato lo scherzetto malato di Rosalie, e poi sarei tornato nel nulla.
“Casa Swan,” rispose una voce che non avevo mai sentito prima. Una voce di uomo rauca e profonda, anche se giovane.
Non mi fermai a pensare alle implicazioni.
“Sono il Dottor Carlisle Cullen,” dissi, in una perfetta imitazione di mio padre, “Posso parlare con Charlie?”
“Non è qui,” rispose la voce, e rimasi vagamente sorpreso dal tono rabbioso. Le parole erano quasi un ringhio. Ma non aveva importanza.
“Bene, allora dov’è?” chiesi, con impazienza.
Ci fu una breve pausa, come se lo straniero volesse negarmi una risposta.
“E’ al funerale,” rispose, infine, il ragazzo.
Riattaccai di nuovo.

Divertente, in realtà ho scritto questo pezzo per gioco. Sul sito Twilight Fanfiction avevo letto di un contest “Passeggiata nei miei panni”, e avevo menzionato ad Alphie (del famoso Lixicon) che forse avrei postato qualcosa, giusto per scherzare. Lei mi ha detto che non avrebbe mai funzionato, Pelirroja avrebbe individuato la mia iscrizione in un secondo. Io scommisi che Pel non mi avrebbe scoperto, ed Alphie invece che l’avrebbe fatto. Così scrissi questa piccola parte di New Moon dal punto di vista di Rosalie (è stato abbastanza interessante essere nella mente di Rosalie!) e la inviai, ridacchiando tra me e me. Alla fine, lo scherzo fu mio. La mia iscrizione si perse nel web e Pel non la lesse mai. Dunque Alphie ed io non avremo mai un esito per la scommessa … a meno che Twilight Funfiction non faccia un altro contest …
Qui c’è il mio scherzo fallito, la chiamata tra Alice e Rosalie nel capitolo 18 di New Moon:

Errore di calcolo
Un minuscolo fruscio, non qui, un po’ di iarde verso nord, mi fece saltare. La mia mano si chiuse automaticamente attorno al telefono, chiudendolo di scatto e nascondendolo alla vista con lo stesso movimento.
Gettai i capelli sopra la schiena, lanciando un’occhiata attraverso l’alta finestra che dava sul bosco. La giornata era nuvolosa, cupa; il mio stesso riflesso era più luminoso degli alberi e delle nuvole. Fissai i miei occhi spalancati, allarmati, le mia labbra piegate all’in giù, una ruga dritta tra le sopracciglia …
Mi accigliai, aumentando lo sdegno nell’espressione colpevole. Attraente sdegno. Distrattamente, notai come l’espressione feroce s’intonasse con il mio viso, contrastando piacevolmente il caldo oro dei miei folti ricci. Allo stesso tempo, i miei occhi analizzavano la vuota foresta alascana, e fui sollevata di notare che ero ancora sola. Il suono non era stato niente, un uccello o una brezza.
Non c’era bisogno di essere sollevata, mi dissi. Nessun bisogno di sentirsi colpevole. Non avevo fatto nulla di sbagliato.
Gli altri stavano progettando di non dire mai la verità ad Edward? Di lasciarlo a crogiolarsi nell’angoscia per sempre in un disgustoso tugurio, mentre Esme si affliggeva e Carlisle riusciva a stento a formulare decisioni e la normale gioia di esistere di Emmett scivolava via lentamente a causa della solitudine? Come poteva essere giusto?
Inoltre, non c’era modo di tenere per molto tempo i segreti lontani da Edward. Prima o poi sarebbe venuto da noi, per andare a trovare Alice o Carlisle per un qualche motivo, e quindi avrebbe scoperto la verità. Ci avrebbe ringraziato per avergli mentito con il nostro silenzio? Difficile. Edward doveva sempre sapere tutto; lui viveva per quel senso di onniscienza. Avrebbe fatto una sfuriata, che sarebbe stata solo esacerbata dal fatto che avevamo tenuto segreta la morte di Bella.
Quando l’avessimo calmato e risolto tutto il casino, probabilmente mi avrebbe ringraziato per essere stata l’unica coraggiosa abbastanza da essere onesta con lui.
A miglia di distanza, un falco urlò; il suono mi fece saltare e controllare di nuovo la finestra. Il mio viso aveva la stessa espressione colpevole di prima, e lanciai uno sguardo torvo verso la me stessa riflessa nel vetro.
Va bene, avevo la mia agenda. Era una cosa così riprovevole volere che la mia famiglia tornasse di nuovo insieme? Era così da egoisti sentire la mancanza della pace di ogni giorno, l’implicita felicità che avevo preso come garantita, la felicità che Edward sembrava avesse portato via con sé nella sua fuga.
Volevo solo che le cose tornassero come prima. Era sbagliato? Non sembrava così orribile. Dopotutto, non lo avevo fatto solo per me stessa, ma per tutti. Esme e Carlisle ed Emmett.
Non tanto per Alice, anche se sarei stata perdonata … Ma Alice era sempre stata sicura di come sarebbero finite le cose, che Edward non sarebbe stato capace di stare lontano dalla sua piccola umana, che non si era disturbata di lamentarsi. Alice viveva sempre in un mondo diverso dal nostro, chiuso nella sua cangiante realtà. Dato che Edward era l’unico che poteva partecipare a questa realtà, avevo pensato che la sua assenza sarebbe stata dura per lei. Ma lei era sicura come al solito, era avanti, la sua mente in un tempo che il suo corpo non aveva ancora raggiunto. Sempre così calma.
Comunque, non si era agitata più di tanto quando aveva visto Bella saltare …
Ero stata troppo impaziente? Avevo agito troppo presto?
Dovevo essere onesta con me stessa, perché Edward appena fosse tornato a casa avrebbe visto ogni piccola falla nella mia decisione. Poteva conoscere i miei motivi malvagi, accettarli adesso.
Sì, ero gelosa del modo in cui Alice si era sentita per Bella. Alice si sarebbe precipitata così in fretta, così nel panico, se fossi stata io a saltare da una scogliera? Avrebbe amato quella comune mortale più di quanto amasse me?
Ma quella gelosia era solo una piccola parte. Aveva velocizzato la mia decisione, ma non l’aveva controllata. Avrei chiamato comunque Edward. Ero sicura che preferisse la mia sincera onestà piuttosto che l’infantile falsità degli altri. La loro gentilezza era stata condannata dall’inizio; Edward alla fine sarebbe tornato a casa.
E adesso sarebbe tornato prima.
Non era solo la felicità della mia famiglia che mi mancava.
In tutta onestà Edward mancava anche a me. Mi mancavano i suoi commenti taglienti, lo spirito che era più in armonia con il mio senso dell’umorismo che con la natura solare e scherzosa di Emmett. Mi mancava la musica, il suo stereo che strombazzava la sua ultima produzione, e il piano, il suono con cui Edward riusciva a rendere trasparenti i suoi pensieri. Mi mancava il suo canticchiare mentre accendevamo le macchine, l’unico momento in cui eravamo in perfetta sintonia.
Mi mancava mio fratello. Di sicuro non mi avrebbe giudicato duramente quando avesse letto la mia mente.
Saremmo stati per un po’ a disagio, lo sapevo. Ma prima sarebbe tornato a casa, prima saremmo tornati nuovamente alla normalità …
Cercai nella mia mente un po’ di angoscia per Bella, e fui compiaciuta di scoprire che mi dispiaceva per la ragazza. Un po’. Questo di più, almeno: aveva reso felice Edward in un modo che io non avevo mai visto prima. Ovvio, lo aveva anche reso più infelice di qualsiasi altra cosa nei suoi cento anni. Però mi mancava la pace che gli aveva donato per questi pochi mesi. Riuscivo sinceramente a rimpiangere la sua perdita.
Questa scoperta mi fece sentire meglio con me stessa, soddisfatta. Sorrisi verso il mio riflesso nel vetro, incorniciato dai capelli oro e dal muro di cedro rosso cedro del soggiorno comodo e lungo di Tanya, divertendomi della vista. Quando sorridevo non c’era uomo o donna sulla terra, mortale o immortale, che non riuscisse a cogliere la mia bellezza. Era un pensiero confortante. Forse non ero una persona con il quale era facile vivere. Forse ero superficiale ed egoista. Forse avrei sviluppato un carattere migliore se fossi nata con un viso modesto e un corpo noioso. Forse sarei stata più felice in quel modo. Ma era impossibile provare. Avevo la mia bellezza; era qualcosa su cui potevo contare.
Feci un sorriso più ampio.
Il telefono squillò e lo strinsi automaticamente tra le mani, sebbene il suono provenisse dalla cucina, non dal mio pugno.
Pensai subito che fosse Edward. Per controllare l’informazione che gli avevo dato. Non mi aveva creduto. Ovviamente pensava che fossi così crudele da fargli uno scherzo del genere. Mi accigliai mentre volteggiavo verso la cucina per rispondere al telefono di Tanya.
Il telefono era sul bordo del lungo bancone da macellaio. Lo afferrai prima che fosse terminato il primo trillo, e mentre rispondevo voltai il viso verso la porta alla francese. Non volevo ammetterlo, ma sapevo di star aspettando il ritorno di Emmett e Jasper. Non volevo che mi sentissero parlare con Edward. Si sarebbero arrabbiati …
“Sì?” risposi.
“Rose, devo parlare con Carlisle subito,” scattò Alice.
“Oh, Alice! Carlisle è a caccia. Cosa ..?”
“Bene, appena torna.”
“Che succede? Lo rintraccio subito e ti faccio chiamare …”
“No,” m’interruppe di nuovo Alice. “Sarò in aereo. Senti, hai notizie di Edward?”
Fu strano sentire il mio stomaco torcersi, sembrava essersi deposto nel profondo del mio addome. La sensazione mi portò uno strano senso di déjà vu, una leggera traccia di un perduto ricordo umano. Nausea …
“Beh, sì, Alice. Effettivamente. Ho parlato io con Edward. Giusto qualche minuto fa.” Per un breve secondo stuzzicai l’idea di fingere che Edward mi avesse chiamato, proprio per una coincidenza casuale. Ma ovviamente non c’era modo di mentire. Edward mi avrebbe portato abbastanza problemi quando fosse tornato a casa.
Il mio stomaco continuò a stringersi più forte, ma io lo ignorai. Decisi di essere arrabbiata. Alice non avrebbe dovuto rompere in quel modo. Edward non voleva bugie; voleva la verità. Ci sarebbe passato sopra quando fosse tornato a casa.
“Tu e Carlisle vi sbagliavate,” dissi. “Edward non avrebbe apprezzato le bugie. Lui voleva la verità. Così gliel’ho data. L’ho chiamato … L’ho chiamato per un bel po’,” ammisi. “Finché non ha risposto. Un messaggio sarebbe stato … sbagliato.”
“Perché?” Alice ansimò. “Come hai potuto, Rosalie?”
“Perché prima ci avrebbe messo una pietra sopra, prima le cose sarebbero tornate alla normalità. Non sarebbero diventato più facile con il tempo, quindi perché rimandare? Il tempo non cambierà niente. Bella è morta. Edward si affliggerà e poi ci passerà sopra. Meglio che inizi prima.”
“Beh, entrambe le tue conclusioni sono sbagliate, Rosalie, il che è un bel problema, non trovi?” chiese Alice in un tono feroce e cattivo.
Conclusioni sbagliate? Ammiccai rapidamente, cercando di comprendere.
“Bella è ancora viva?” sussurrai, non credendo alle mie parole. Cercavo solo di selezionare una delle conclusioni a cui Alice poteva riferirsi.
“Sì, sta bene. Sta assolutamente bene …”
“Bene? L’avevi vista saltare da una scogliera!”
“Mi sono sbagliata.”
Le parole suonarono così strane dette da Alice. Alice, che non sbagliava mai, che non era mai colta di sorpresa …
“Come?” bisbigliai.
“E’ una storia lunga.”
Alice si era sbagliata. Bella era viva. E io avevo detto che …
“Bene, hai fatto un bel casino,” brontolai, trasformando il mio imbarazzo in accusa. “Edward sarà furioso quando tornerà a casa.”
“Ma qui sei tu che ti sbagli,” disse Alice. Potevo dire che stava parlando tra i denti. “Per questo ho chiamato …”
“Sbagliata su cosa? Sul ritorno di Edward? Ovvio che tornerà.” Risi in modo beffardo. “Cosa? Pensi che si comporterà come Romeo? Ah! Come uno stupido, romantico …”
“Sì,” sibilò Alice, con tono freddo. “E’ esattamente ciò che ho visto.”
La ferma convinzione delle sue parole fece tremare in modo bizzarro le ginocchia. Mi aggrappai ad un fusto del muro di cedro per sorreggermi, un supporto che il mio corpo duro come il diamante non aveva bisogno. “No. Non è così stupido. Deve … deve aver capito che …”
Ma non riuscii a finire la frase, perché ebbi una visione nella mia mente. Una visione di me stessa. Un’impensabile visione della mia vita se Emmett avesse cessato di esistere. Rabbrividii all’orrore dell’idea.
No, non c’era paragone. Bella era solo un’umana. Edward non voleva che fosse immortale, quindi non era lo stesso. Edward non poteva provare le stesse cose!
“Io – io non intendevo fare questo, Alice! Volevo soltanto che tornasse a casa!” La mia voce era quasi un lamento.
“Troppo tardi, Rose,” disse Alice, più dura e fredda di prima. “Il tuo rimorso vai a sventolarlo di fronte a chi ancora ti crede.”
Ci fu un click, e poi il telefono rimase muto.
“No,” sussurrai. Scossi lentamente la testa per un momento. “Edward deve tornare a casa.”
Fissai il mio viso riflesso nella lastra di vetro della porta alla francese, ma non riuscivo a vedere più niente. Era solo una macchia informe di bianco e oro.
Poi, attraverso la macchia, lontano nella foresta distante, un’enorme albero traballò, fuori tempo rispetto al resto della foresta. Emmett.
Strattonai la porta dalla mia strada. Sbattè duramente contro il muro, ma il suono era già lontano dietro di me mentre correvo verso il verde.
“Emmett!” urlai. “Emmett, aiuto!”


midnightsun forever
 
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Moore James
view post Posted on 6/2/2020, 14:46




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1 replies since 31/8/2009, 14:47   737 views
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